Only women bleed

1 Giu

A tutte capita di scontrarsi con discorsi maschilisti. Talvolta sventolati con malizia, sapendo di infastidirti come un chiodo arrugginito sulla lavagna. Altre volte sbocciati dalla più candida innocenza, persino con l’intenzione di rivolgerti un complimento, perché trattarti come un essere vulnerabile, sciocchino e bisognoso di protezione per questioni genetiche è sfoggio di galanteria, o così gli è stato insegnato. Capita persino che vengano interiorizzati e riproposti da altre donne, che si dichiarano offese dal femminismo perché – dicono – schiaccia la femminilità. Una femminilità che immancabilmente deriva dall’utero. Come se il peso delle ovaie nel ventre trascinasse in basso il nostro cervello, rendendoci inscindibili dal nostro sesso. Nelle favole la principessa è per tradizione la fanciulla devota e ubbidiente. Per contro, la donna che possiede un qualche genere di potere è una strega, anche in quel caso detentrice di un potere di natura derivativa (magica, demoniaca – in prestito). Deve essere un’androgina o una seduttrice lasciva, la versione distorta di una donna normale. Tota mulier in utero. Fare figli, accudire gli uomini e i membri anziani della tribù. Un’ausiliaria, mai una protagonista. Un complemento e non un soggetto. I giochi tradizionali delle bambine sono bambole da cullare e piccoli ferri da stiro, lavastoviglie, pentolini. In alternativa oggetti che ruotano intorno alla costruzione di un aspetto appetibile o prototipi di future noi stesse con armadi infiniti. “Donna non si nasce, si diventa” – diceva Simone de Beauvoir.

Margaret Mead ha documentato l’evidenza di questo assunto, scoprendo in Nuova Guinea che la categorizzazione archetipica dei sessi è culturale, non naturale, di certo non inevitabile.
La zoologia e l’etologia forniscono esempi di variazione dello schema che comprendono, oltre alla cura collettiva della prole, alla gerarchizzazione matriarcale e alla poliandria, persino gravidanze maschili (Ippocampo). Eppure lo stereotipo è duro a morire.

L’uomo è ragione, la donna è sentimento. Sempre riprendendo la de Beauvoir, l’uomo non è obbligato a parlare di sé definendosi come uomo innanzitutto. E’ un dato scontato. Non viene considerato rappresentativo di un sottogenere-maschio, bensì di umanità nel suo insieme. Una donna dovrà sempre partire dal dato biologico, sempre legata al femminino in sé, questo astratto con cui sarà sempre confrontata e che è tenuta a rappresentare. I lavori che le donne “sanno fare meglio” sono tutti collegati con la cura di un terzo, dell’ambiente-casa o di una collettività, giustificando questa associazione con la gravidanza e il parto, dimenticandosi che si tratta di una scelta e non di un obbligo e che non ci può definire come esseri umani quanto la possibilità di una paternità non definisce un uomo. L’unica associazione uomo-padre passa per il concetto di Autorità, innalzandosi fino al divino.

Negare questa differenziazione orientata all’esclusività significa – all’interno di questo paradigma – invadere il campo, negare il proprio essere donne. Nelle parole di Rebecca West, “la gente mi definisce una femminista ogni volta che esprimo sentimenti che mi differenzino da uno zerbino o da una prostituta”.

E allora va bene, femminista. Anche questa volta per opposizione, ma che ci vogliamo fare: i maschilisti ci percepiscono solo così.

2 Risposte to “Only women bleed”

  1. leonora settembre 22, 2012 a 8:11 PM #

    Capito per caso, leggo e condivido ogni parola.

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